Roma da sempre crocevia di culture e alcova di poteri, più o meno occulti ha sempre svolto il ruolo di preda per tutti gli appetiti voraci. Dai cesari e la loro soldataglia ai papi, dalle dinastie alle caste politiche, che da secoli la governano.
Fulco centrale della politica gestionale, di quella che divenne la capitale d’Italia dopo il risorgimento, è stata la possibilità di manovrare capitali e amministrare i flussi dei denari che confluivano nelle casse comunali, provenienti da tasse locali, tributi nazionali e investimenti. Agli inizi del XX secolo il sindaco massone e mazziniano, Ernesto Nathan, eletto da una coalizione composita formata da repubblicani, socialisti e radicali detta “Blocco Popolare” con queste parole d’ordine: «L’amministrazione popolare ha indicato il punto di partenza, il metodo; ad altri continuare per quella via, affaticarsi a risolverlo, per il bene di Roma e dell’Italia», vince le elezioni a candidato sindaco e dal 1907 al 1913 governa Roma, stravolgendo in parte i rapporti di forza con la classe affarista, legata al Vaticano, che fino allora aveva governato la città. Ma questa è un’altra storia.
Nel 1909 Nathan pubblicizza i servizi essenziali della capitale, energia, trasporti e istruzione sono gli elementi che vengono restituiti ai cittadini romani. In questo contesto il servizio elettrico è la punta di diamante di questa politica. Nel 1909 l’assessore al tecnologico Giovanni Montemartini fa costruire, per entrare in servizio nel 1912, la prima centrale elettrica di Roma, sfruttando come propulsione dei generatori alcuni motori navali dismessi. L’azienda si chiamerà allora, fino al 1926 AEM Azienda Elettrica Municipale, a capitale e gestione pubblica. Dal 1926 al 1937, quando all’azienda fu delegato il compito di costruire e gestire di parte delle risorse idriche della capitale, viene trasformata in AEG Azienda Elettrica del Governatorato di Roma, per poi divenire AGEA e nel 1945 alla fine della guerra ACEA. Ma a Roma non c’è solo l’azienda elettrica comunale a gestire l’elettricità. Il servizio di pubblica illuminazione e i servizi di illuminazione cimiteriali sono gestiti dalla municipalizzata, mentre la metà circa del servizio elettrico è in mano ai privati.
Le aziende che fanno gestione, distribuzione e produzione a Roma sono due la SRE – Società Romana Elettrica e la Tiberina Elettrica. Queste due realtà, privato e pubblico si fanno durante il loro lungo percorso, che arriva fino alla nazionalizzazione del servizio elettrico nel 1964, una guerra spietata all’ultimo cliente, parcellizzando il mercato e ancor peggio il modello gestionale tecnico con impianti concettualmente e tecnicamente non interfacciabili tra loro, indebolendo e fiaccando proprio il servizio stesso.
Dopo l’istituzione dell’ENEL, che acquisirà la Società Romana Elettrica e la Tiberina Elettrica, la “spartizione” dei clienti fu calmierata e bilanciata da uno o più accordi locali. Accordi che prevedevano aree ben distinte di elettrificazione, le zone nuove di edificazione selvaggia che dagli anni ’70 in poi erano acquisite da una e l’altra azienda con un modello di pianificazione che prevedeva un equilibrio di alcune migliaia di “clienti” virtuali e mai a consuntivo ma a previsione. Sempre nel 1964 la cessione dell’Acqua Pia Antica Marcia all’azienda municipale e la successiva ultimazione dei lavori del Peschiera nel 1979 consegnano a all’ACEA la gestione della rete idrica e in parte fognaria della città di Roma.
Nel 1976 con la gestione del sindaco Argan inizia una serie di iniziative atte al risanamento degli impianti idrici, elettrici e fognari di Roma. L’illuminazione pubblica diviene uno dei nodi cruciali, inizia la sostituzione dei vecchi impianti e delle lampade in tutta la città, migliaia di chilometri di cavi e migliaia di pali e vengono installati in zone periferiche, inizia la bonifica degli impianti fognari e il rinnovo delle condotte idriche, un lavoro che rimane il fiore all’occhiello delle amministrazioni romane fino alla metà degli anni ’80 quando le giunte Signorello prima e Giubilo poi faranno carne di porco delle esperienze passate, invadendo con i propri adepti posti e poltrone nella municipalizzata. Anni di corruzione, corroborati da scandali sugli appalti e sulle assunzioni.
La “svolta” di Rutelli
Nel 1993 viene eletto per la prima volta e Roma col sistema dell’elezione diretta Francesco Rutelli, lo stesso provvederà all’estinzione dell’esperienza di Nathan privatizzando l’azienda elettrica e cedendo quota parte delle azioni della società che intanto aveva cambiato ragione sociale nel 1989 da Azienda Comunale Elettricità e Acque, denominazione che deteneva dal 1945, ad Azienda Comunale Energia e Ambiente. Nel 1992 l’azienda diviene Azienda Speciale scorporandosi così di fatto dal comune di Roma, preparando oltremodo il terreno all’entrata in borsa, operazione pianificata dall’allora amministratore delegato Cuccia. Le responsabilità del sindaco Rutelli nella cessione del servizio pubblico ai privati sono enormi. In primis la gestione politica del referendum del 15 giugno 1997, di seguito una agenzia di stampa del 16 giugno, all’indomani del risultato referendario.
Roma, 16 giu. – (Adnkronos) – Ai cittadini romani non manchera’ ne’ il latte fresco, ne’ l’acqua, e l’Acea non sara’ assolutamente smembrata. Il sindaco di Roma Francesco Rutelli in una conferenza stampa svoltasi oggi in Campidoglio nella sala delle Bandiere ha analizzato il voto referendario espresso dai cittadini romani sulle privatizzazione dell’Acea e della Centrale del Latte.
Rutelli ha espresso tutta la sua soddisfazione per il quorum ottenuto sui referendum: per la privatizzazione dell’Acea i si sono stati il 52,5 pc. e i no il 47,95 pc.; mentre per la Centrale del Latte i si hanno ottenuto il 50,6 pc. e i no il 49,4 pc. ”La campagna elettorale sui referendum da noi appoggiati e’ stata recepita da una parte dei romani che si e’ sentita coinvolta, mentre gli altri hanno ritenuto di astenersi. Una cosa e’ certa: noi non svenderemo la Centrale del Latte ne’ indeboliremo o trasformeremo l’Acea . Anche se due terzi dei romani non ha partecipato al voto”. Rutelli ha anche esaminato il voto referendario relativo ai quesiti proposti da Marco Pannella ricordando che la crisi dei referendum deve far pensare e far vivere meglio questo strumento referendario. ”Non deve esserci faziosita’ politica”.
Il decreto Bersani, marzo 1999, prevedeva l’accorpamento delle municipalizzate per il servizio elettrico nelle città con un numero superione di abitanti al milione. Nel 2001 la parte di competenza ENEL a Roma viene acquisita dall’ACEA sia per la parte tecnica che commerciale, portando si un esborso verso l’ENEL, ma un vantaggio e un introito di patrimonio commerciale di milioni di utenti, quindi di denaro fruibile e immediatamente gestibile da fondi e azionisti.
Assalti frontali e laterali
La morte del mercato vincolato, pianificato dal governo Renzi e decretato per il 2018, finora non è stato ancora attuato. Nessuna compagine governativa si prende questa responsabilità, memore dei 18 milioni circa di cittadini italiani ancora legati alla tutela economica, lontana da appetiti e variazioni sulle tariffe spesso messe in atto con ingannevoli contratti e modificazioni unilaterali. Mercato tutelato che è previsto fino al 2022. Una fatturazione questa che comunque ha all’interno una variazione che può oscillare però legata all’inflazione programmata. La fatturazione elettrica, fino al 1992, anno dell’abolizione della scala mobile con lo sciagurato accordo del 31 luglio, soprannominato “Accordo del Trentin Luglio” dal nome dell’allora segretario della CGIL Bruno Trentin era legata proprio all’indicizzazione delle voci dei beni di prima necessità. Però anche prima di allora l’energia elettrica è stata sempre oggetto di interesse degli speculatori e del mondo degli affari. La nazionalizzazione dell’ENEL e l’istituzione del servizio elettrico nazionale della produzione, trasmissione, distribuzione e l’acquisizione delle piccole e grandi realtà di gestione elettrica del territorio, mise in atto una sorta di teorema di spartizione delle quote messe a disposizione per la nazionalizzazione e gli interessi privati collegati. L’esborso dello stato per l’acquisto di impianti fatiscenti e datati fece ingrassare i padroni delle aziende con cifre ragguardevoli, nonché il trasferimento di personale specializzato e non a carico dell’ENEL. Se questo può essere considerato un valore aggiunto, per l’occupazione e la diffusione del servizio pubblico, significò anche una serie di assunzioni coatte, imposte dalle aziende dimissionarie, dove si collettivizzarono le perdite e si capitalizzarono le rendite. Assunzioni che a volta furono pilotate oltre che dalle aziende cessanti da settori della massoneria e della politica, specialmente nell’ambito dirigenziale. Solo dagli anni ’80 in poi, in controtendenza col sistema “Italian connection” L’ENEL decretò una serie di ingaggi e reclutamenti di personale altamente specializzato. Esperienza unica in quegli anni, vanificata poi dal ritorno al sistema di assunzione diretta senza concorso dopo il 1994, anno dell’entrata in borsa del titolo ENEL.
La forza dei 18 milioni di utenti che sono ancora in essere al tutelato, i milioni che cercano ancora di ritornarci dopo l’esperienza fallimentare e truffaldina del mercato libero, possono essere motivo di contraddizione e di discussione, proprio con quelle forze politiche che hanno portato moltissimi italiani a confrontarsi con un mondo a loro sconosciuto, fatto di contratti e regole difficili da comprendere e gestire, ammaliati da un risparmio o una garanzia che mai potrà essere finché beni essenziali e servizi saranno preda di appetiti speculativi. Perché poi mettere in vendita una società che potrebbe essere una borsa di denari freschi per il comune di Roma come l’ACEA, capitali che potrebbero essere utilizzati per finanziare a pieno le altre municipalizzate o sopperire la mancanza di fondi per i servizi pubblici. Queste sono le domande che si pongono da sempre tanti cittadini romani attenti e coscienti. La risposta non può tardare a venire se pensiamo con la logica del profitto e della distruzione del servizio pubblico, della collettivizzazione delle perdite e della privatizzazione dei guadagni, ma questa è una storia vecchia come il mondo, com’è vecchia e consolidata la cecità delle classi subalterne, incoscienti della propria posizione di reietti della società, pronti a farsi calpestare purché abbiano qualcuno da calpestare a loro volta. Lo dimostra la propensione a crocefiggere gratuitamente i lavoratori delle municipalizzate, denigrati da campagne di facile costruzione e meramente qualunquiste, una pratica trasversale che piace a tutti, partiti di sinistra compresi, perché porta risultati e consensi immediati.
Due righe di Trilussa, poeta romano non guastano mai.
«So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali E riuniti fra de loro senza l’ombra d’un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quer popolo cojone risparmiato dar cannone!» (1914)
Benedetto Carloni
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