Uno dei tormentoni del periodo di lockdown è stato, oltre all’ormai classico “Andrà tutto bene”, “Niente sarà come prima” nelle sue varie declinazioni.
Parlando di cinema questo periodo è stato una iattura di non poco conto per un settore già in forte crisi e che, è sempre bene ricordarlo, non è fatto solo di attori e registi strapagati, ma principalmente di mestieri non così ben pagati, che vanno dagli sceneggiatori agli elettricisti, dai montatori ai macchinisti. Film già pronti non sono usciti in sala. Alcuni sono stati rimandati, altri sono finiti direttamente nel circuito dello streaming. Molti film pronti per le riprese non si gireranno probabilmente più.
Sarebbe allora cosa buona e giusta approfittare di questa situazione e fare davvero sì che nulla sia più come prima.
Il cinema italiano ne avrebbe tutte le capacità, se solo si volesse. Ricordiamo che prima della I Guerra Mondiale il cinema italiano era uno dei più vivaci. Ricordiamo che nel secondo dopoguerra abbiamo creato, non pianificandolo, il neorealismo, che ha fatto scuola in tutto il mondo. Ricordiamo che siamo stati maestri più avanti nel cinema di genere, che ha sì creato degli obbrobri inenarrabili, ma ha anche fatto risaltare il genio di autori come Sergio Leone o Mario Bava. Neorealismo e cinema di genere. Due modi di intendere il cinema concettualmente opposti, ma che si facevano forza di un elemento comune: la scarsità di mezzi.
Il neorealismo cercava di raccontare la realtà immergendosi in essa, girando per le strade e non nei teatri di posa, spesso non utilizzabili, utilizzando attori non professionisti insieme a chi era già del mestiere.
E così ha sfornato dei capolavori che nel contempo erano dei veri e propri miracoli.
Il cinema di genere invece nasceva da produzioni spesso senza mezzi, e quindi tutto andava a basarsi nell’inventiva degli autori. Uno dei massimi esponenti era Mario Bava che con due pietre riprese da angolazioni diverse riusciva a creare paesaggi di pianeti inesplorati. Movimenti di camera poi copiati dal cinema americano, a cui spesso si ispirava tra l’altro in una sorta di circolo vizioso.
Ora abbiamo un’occasione d’oro: ripartire dalle basi. Ripartire dalle storie narrate da persone che sappiano raccontarle con inventiva e creatività.
La centralità assunta dai servizi streaming ci pone davanti ad una possibilità inedita. Fino a ieri i film cosiddetti invisibili, e cioè senza distribuzione, hanno la possibilità di essere visti da un buon pubblico. E allora perché non approfittarne?
Ricominciamo dalla periferia del cinema, affiancando realtà già affermate a personalità pronte ad emergere. Fino ad ora si puntava soltanto sui primi perché gli unici a poter affrontare la sala. Ora abbiamo un secondo sbocco per produzioni e distribuzioni. E chissà che non nascano nuovi autori che possano sostituire i vecchi e cari mostri sacri e affiancare altri che al momento potrebbero fare da traino.
La domanda andrebbe ovviamente posta ai produttori, ma dovremmo farcela anche noi spettatori.
Siamo pronti a dare fiducia a prodotti anche poveri nei mezzi, ma che potrebbero nascondere ricchezze narrative da scoprire? Siamo pronti ad andare oltre al telefilm (e di questo parleremo in un altro articolo) e spendere 2 ore del nostro prezioso tempo per crescere emotivamente ed intellettualmente?
Ivan Mattei
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