Prima pubblicazione di “Racconti di periferie” a cura di Roberto Catracchia. Oggi proponiamo ai lettori una vicenda che va inquadrata in una realtà diversa dalla nostra e in un tempo non troppo lontano. In realtà, la domanda da porsi è: siamo così sicuri che non ci siano differenze tra la nostra vita urbana e quella vissuta in altri contesti europei? Oppure, come a Risiko, tradotto nel primato del mercato sul sociale, abbiamo tante cose in comune con altre città del vecchio continente? Come, ad esempio, le politiche di austerity adottate dal 2008 in poi. Parliamo di scelte politiche che hanno invaso dolorosamente ogni spazio/territorio e coinvolto ogni cittadino europeo da oltre 10 anni.
Il 9 agosto 2011, mentre si svolgeva un happy hour nella sede della borsa della capitale inglese, per festeggiare i lauti guadagni ottenuti con la speculazione finanziaria da parte degli investitori britannici, in strada 16 mila poliziotti intervenivano con “eleganti manganelli” e gas lacrimogeni “firmati dai migliori produttori di profumi del mondo” al fine di bloccare e reprimere la più intensa e lunga interruzione dell’ordine pubblico nella storia di Londra dalle sommosse di Gordon del 1780.
La rivolta delle periferie era iniziata qualche sera prima, quando per una veglia pacifica in ricordo di un giovane ucciso dalla polizia, all’improvviso il sit-in era degenerato nella violenza: per giorni e notti la protesta sfociò in incendi e saccheggi. Ben 20 distretti amministrativi della città su 30 vennero coinvolti negli scontri. Ci furono 3.000 arresti e i danni vennero quantificati per 30 milioni di sterline. In seguito, la “London School of Economics” intervistò un centinaio di rivoltosi e le risposte dei giovani bianchi, negri, creoli, italiani, ispanici, di tutte le razze che popolavano (e che popolano tutt’ora) la periferia londinese, furono sostanzialmente univoche: le ragioni della protesta nascevano dai livelli intollerabili di disoccupazione e povertà emersi da diversi anni nelle banlieues Londinesi.
Per la prima volta dal dopoguerra, una generazione stava peggio dei propri genitori. Si sentivano esclusi dall’accesso alle opportunità, all’educazione, alla salute. In quelle sere d’estate londinesi, i rivoltosi scoperchiarono le trasformazioni operate dal neoliberismo. In realtà, analisti e ricerche più affidabili affermavano da tempo che i lavoratori con stipendi bassi e medi vedevano crollare i loro standard di vita da un decennio, così come non era mai accaduto dal dopoguerra in poi. I budget dei comuni britannici erano stati tagliati del 19% per circa 18 miliardi di sterline, dell’8% per le spese per l’infanzia e circa 130 mila anziani erano stati esclusi dall’accesso ai servizi vitali.
Questa vicenda, così “lontana” dalle borgate romane ci può essere utile? Oppure ci limitiamo a lamentarci del nostro quartiere, convinti che solo da noi le cose vanno male? In molte periferie d’Europa e del Nord America, da anni ci sono improvvise esplosioni di rabbia per le stesse ragioni di esclusione e tagli al sociale voluti dai governi, locali e non.
Anche i nostri giovani subiscono le stesse esclusioni e privazioni dei loro coetanei d’Europa.
Nelle periferie del mondo la violenza rimane l’unico modo per farsi notare oppure c’è un percorso lungo, ma necessario, di ricostruzione di una mobilitazione delle periferie senza discriminazioni di razza e censo?
Siamo tutti figli della periferia e non abitiamo in luoghi invisibili ma in territori pieni di vita e voglia di riscatto per tutti e tutte, ogni governo locale, cittadino e nazionale, deve fare i conti con la nostra vitalità. Pena un ulteriore distacco violento tra città e periferie. Oppure lor signori sperano e puntano solo a quest’ultima opzione?
Roberto Catracchia
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