La pandemia colpirà anche e soprattutto il calcio. A stimarlo è stato Andrea Agnelli, presidente della Juventus e dell’Eca (European club association), nonché amministratore di Exor, la holding olandese che detiene il 63,77% della società bianconera (1): «Possiamo stimare la decrescita in circa 4 miliardi di euro nei prossimi due anni, e, secondo la FIFA, il 90% di queste perdite impatterà sui club», lo ha dichiarato a margine dei lavori d’apertura della 24° assemblea generale dell’Eca, tenutasi nei primi giorni di settembre.
«Le stime – ha proseguito la nota di Agnelli diffusa alla stampa e pubblicata sul sito della stessa Juventus – dicono che il valore complessivo del mercato si ridurrà del 20-30% e ciò dimostra come sia evidente che ci sia meno denaro in circolazione. Dobbiamo essere molto attenti a come gestiamo le prossime stagioni, perché se è vero che a livello quantitativo assoluto quanto è accaduto impatterà maggiormente sui grandi club, chi ne soffrirà di più in termini proporzionali e percentuali saranno le società piccole e medie».
Il sistema del calcio milionario, così come tutti gli altri settori dell’economia di mercato toccati e colpiti dalla pandemia da Covid-19, manifesta le proprie storture e criticità dell’assetto economico-finanziario che sta alla base di tutte le società professionistiche. Basta un minimo fattore, o uno imprevisto come il virus in atto, e le contraddizioni vengono a galla facendo inceppare il meccanismo. Basti pensare a quanto scritto da ‘La Stampa’ di Torino all’indomani della sconfitta subìta dalla squadra bianconera contro l’Ajax nell’aprile dello scorso anno: «La sconfitta della Juventus contro l’Ajax in Champions League travolge i bianconeri in Borsa. Nelle prime battute di contrattazione le azioni della società bianconera hanno fatto segnare un calo del 25%, bruciando 500 milioni di euro di capitalizzazione, scendendo da 1,7 miliardi a 1,2. Dopo essere stato sospeso dalla seduta, il titolo è rientrato nelle contrattazioni cedendo oltre il 20%».
Ci sarà una perdita piuttosto consistente di 4 miliardi nei prossimi due anni, dunque, ma a quanto pare non sembra esserci un’alternativa nei piani della finanza calcistica da ora in poi. Tralasciando per un attimo le piccole e medie società citate da Andrea Agnelli nella nota diffusa alla stampa, è bene focalizzarsi per un momento proprio sulla Juventus. La società bianconera, in effetti, rappresenta agli occhi del mondo un’azienda moderna e volta al mercato, capace di ingaggi milionari e di permettersi la costruzione di uno stadio di proprietà. Quest’ultimo rappresenta un nodo gordiano di molti investimenti transnazionali dei capitalisti nelle squadre italiane: lo stadio della Roma (serie A) e quello di Venezia (serie B) insegnano, rispettivamente proprietà ex-Pallotta ed ex-Tacopina. Ex perché il progetto dello stadio non è andato in porto.
Exor, il bilancio è in rosso -69 milioni di euro
Ancora una stagione in perdita: dopo i -39,9 milioni registrati al 30 giugno 2019 e i -19,2 milioni del 2018, la holding degli Agnelli-Elkann ha registrato un -19 milioni a seguito del semestre gennaio-giugno 2020, a cui vanno sommati i -50,3 milioni di perdita nei mesi da luglio a dicembre 2019.
Terzo risultato negativo in tre anni nonostante il mezzo miliardo di plusvalenze incassate da Juventus Fc negli anni che vanno dal 2015 al 2020. Non a caso nell’assemblea straordinaria del 24 ottobre 2019 il Cda di Juventus Fc Spa ha deliberato un aumento di capitale per 300 milioni di euro (pdf in allegato alla mail) previsto per «gli esercizi 2019/2020 – 2023/2024» finalizzato a: «finanziare gli investimenti utili al mantenimento della competitività sportiva; – sostenere la strategia commerciale per l’incremento dei ricavi e della visibilità del brand Juventus nei mercati internazionali; – rafforzare la struttura patrimoniale della Società». Un aumento di capitale che dovrà essere entro il 30 settembre 2020 e mediante «emissione di azioni ordinarie».
Nessuna inversione di rotta
Il sistema che è andato costruendosi nel corso degli anni è, sostanzialmente, insostenibile ed irreale: plusvalenze, cartellini e diritti tv fanno in modo che le cifre annuali di società e federazioni si gonfino – letteralmente – senza possedere una pur minima base concreta legata a quel patrimonio.
Il mantra recitato dai proprietari delle società calcistiche permane quello del “fin qui tutto bene”, come la storia di quel tale che si butta da un grattacielo e ad ogni piano dice “fin qui tutto bene”, salvo poi essere messi alle strette da una partita persa in ambito internazionale, come citato; da un piccolo scricchiolio anche solo accennato del mercato; o, come in questo caso, da una pandemia.
Il “migliore dei sistemi economici possibili”, in realtà, si posa su un castello di carte costruito in piena bora triestina.
Nessuno poteva prevedere una crisi sanitaria di proporzioni globali come questa che stiamo attraversando, tuttavia i fattori imprevisti – quali che siano – sembrano non toccare né lambire le previsioni dei profitti delle società calcistiche e delle loro finanziarie che vi sono alle spalle.
Tutto sta nel continuare – più o meno spensieratamente – a fare quel che si è sempre fatto.
Aspettando il cataclisma.
(1) Così come partecipazioni in FCA (Fiat), Cnh Industrial e Ferrari; in ambito editoriale in “The Economist” e nel Gruppo GEDI; nel calcio (Juventus) e poi anche in altri settori come quello delle assicurazioni (PartnerRe).
Marco Piccinelli
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