La prima frase, «L’aria della città rende liberi» è del pensatore francese G. Deleuze e la seconda «l’aria della città rende soli» è del sociologo Z. Baumann. Prendiamo da loro questo spunto per sottolineare che il nostro vivere è del tutto alienato e alienante rispetto al susseguirsi dei giorni che viviamo. Il numero è quel che ci caratterizza, l’account quel che conosce qualcosa di noi, il social lo strumento tramite il quale intavoliamo una relazione o un discorso. Secondo A. Petrillo, “La Città perduta” (edizioni Dedalo):
«Da tempo viviamo in città dove si va a fare shopping, ma difficilmente si passeggia; i centri urbani si sono trasformati dovunque in non luoghi esclusivi, dove si lavora e si transita ma non si vive. Subiamo, una realta urbana che nasconde dietro l’apparente caos un ordine complesso ma ferreo, l’esistenza di una macchina che forse ammette disfunzioni ma non contestazioni. La libertà collettiva, l’unica degna di essere vissuta al di fuori di quella domestica, è oggi impensabile. Le associazioni sono private o private sociali ma raramente pubbliche, come un tempo erano i movimenti e i partiti politici. La folla si riunisce nei quartieri della movida, ma sempre meno per dire la sua in pubblico, per approvare, proporre, protestare o per condannare.
E’ l’effetto di una trasformazione economica senza precedenti e dell’assorbimento della società nell’economia, che fornisce il linguaggio dominante, gli scopi e i valori della vita. Disponiamo della rete e del digitale, ma questa per definizione non connette le persone, il contatto con il corpo e l’aspetto fisico/psitico dell’altro, illude di connettere gli esseri umani, ma abbiamo solo utenti astratti, siti e indirizzi elettronici. La libertà nella città globale e solo quella delle merci, materiali e immateriali, ma per il resto nessuno si illude di essere libero se non nel proprio bunker domestico, davanti allo schermo di un computer. In American Psycho, di B.E. Ellis, la libertà globale ha trovato una delle rappresentazioni più impressionanti: nella New York dei ristoranti alla moda, dove per 200 dollari si servono menu chic e ricercati, si aggira impunito uno Yuppie omicida che sceglie i suoi bersagli tra barboni, deboli, prostitute. Parliamo di una caricatura pensabile solo in una città globale. Una città attrezzata per rendere facile la vita ai nuovi finanzieri in bretelle e completo alla moda e ossessionata dalla idea di cancellare i segni crescenti della povertà e le tracce del fallimento liberista. La città globale non tollera i lati oscuri del suo modello di sviluppo, non vuol sapere nulla di quei lavoratori che per pochi euro ripuliscono le strade, degli uffici avveniristici, e che sgobbano nei ristoranti. Era ed è l’epoca dei sindaci sceriffi, è l’epoca dei primi cittadini smarriti nelle proprie promesse. L’aria della città rende più liberi i ricchi e più soli e disperati poveri, lavoratori sottopagati e ceto medio impoverito».
Da tempo le maggioranze politiche dei comuni e delle regioni si aggregano su poche parole d’ordine, come ad esempio: diamo la caccia al crimine oppure ripuliamo questa città/regione. Oppure gestire in modo sensazionalistico l’attuale pandemia e lo stato di emergenza. Se i voti arrivano dai gestori delle discoteche o dalle fabbriche, si va in deroga alle norme nazionali, esprimo in questo modo un potere di interdizione, favorisco il mio bacino elettorale. Del virus vedremo in seguito come andrà, cerchiamo l’untore, strilliamo contro i singoli comportamenti dei cittadini e ci mettiamo in pace la coscienza. Commissari di Governo, Presidenti di Regione ed altri rappresentanti istituzionali si dimenticano che sono commissari di Governo e nei casi di emergenza sanitaria hanno responsabilità civili e penali, dimenticano che dovrebbero coordinarsi con l’esecutivo al fine di definire obiettivi, quantificare le necessità, le risorse umane ed economiche necessarie ad affrontare questa fase sanitaria, storica e politica del tutto inedita per noi contemporanei. Dovrebbero tirare le orecchie al Governo se tutto ciò non si fa, ma giocare a farsi i dispetti, gonfiare da bulli il petto e le spalle per mostrare il proprio potere e la propria protervia, ricercare la propria visibilità con quell’intervista o quell’articolo di giornale scritto dall’amico giornalista che non direbbe mai nulla contro questo o quel governatore o l’amico politico, non ci salva dal coronavirus. Ci mostrano, anzi, la mediocrità di cui sono intrisi primi cittadini, presidenti regionali o anche circoscrizionali. Petrillo, il saggista da cui abbiamo preso la citazione precedente, nel suo libro ci invita a riprenderci la vita, che significa estendere e non tagliare i “diritti urbani” al fine di riconoscere a tutti i quartieri e a tutti i suoi abitanti una quantità minima di servizi e opportunità. Uguale per tutti.
“Perchè la città che esclude è una città infelice e cupa per tutti”.
Roberto Catracchia
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