Paola Tinchitella è direttrice dalla Biblioteca “Collina della Pace” di Finocchio e impegnata, dunque, su più fronti dell’iniziativa culturale del municipio. Dall’inizio dell’anno anche le biblioteche stanno facendo fronte ad uno scenario inedito che ha costretto i dipendenti a lavorare in modalità a distanza e, comunque, a rivedere profondamente la natura del luogo stesso. Una biblioteca per defiinizione è un luogo da vivere e frequentare in relazione alle sale studio, ai gruppi di lettura, alle discussioni su questo o quel saggio che ci ha indotto più di qualche riflessione su quel tema che a noi stava a cuore. Il coronavirus ha fermato bruscamente questa relazione in presenza e, necessariamente, interrotto la frequentazione della biblioteca da parte degli studenti che cercano quiete e silenzio per il proprio studio. Prima del secondo lockdown, ancorché non esplicitamente dichiarato come tale e che qualche commentatore lo ha classificato come “lockdown del tempo libero”, le altre biblioteche del territorio, come quella di Borghesiana, rimaneva chiusa a causa di problemi strutturali e di organico. Di coronavirus e di organizzazione del lavoro culturale al tempo di una pandemia, ma anche di quel che sarà il futuro della biblioteca di Largo Monreale, ne abbiamo parlato con Paola Tinchitella.
Come hai vissuto il periodo durante il lockdown, della chiusura e, dunque, dello smart working, e come lo ha trascorso il personale della Biblioteca Collina della pace nella sua totalità?
Noi siamo stati i primi a riaprire subito dopo la chiusura totale. Ma è bene fare un passo indietro, a quando abbiamo deciso di chiudere, in ottemperanza alle disposizioni di Roma Capitale e, a cascata, da parte della Direttrice di Biblioteche di Roma.
C’è da dire che la produzione e i livelli di produttività che abbiamo mantenuto sono stati molto elevati, nonostante ci fossimo trovati in una situazione stra-ordinaria dovendo decidere su due piedi la progettazione per lo smart working, essendo una situazione evidentemente imprevista e non già sperimentata o avviata come avvenuto per una parte dei lavoratori della Regione Lazio. Se parlo del mio stesso gruppo di lavoro mi sono davvero stupita. Abbiamo messo in atto dei progetti molto interessanti che stanno tutt’ora proseguendo: Billonline e Lib(e)ri in casa, ovvero un raccoglitore di recensioni degli utenti di libri che hanno letto, in molti casi proprio durante il lockdown.
Ugualmente, tutte le altre biblioteche si sono mosse in tal senso, e laddove ci sono state difficoltà lo si deve a quanto la pandemia ha generato nel mondo del lavoro riducendo sensibilmente gli organici. Quel che è successo immediatamente, a ridosso e durante il lockdown, è stato il porre in smart working al 100% le persone fragili, immunodepresse ecc: i numeri dei colleghi ascrivibili in queste categorie non sono bassi. Allo stesso modo, il lavoro agile è stato erogato al 100% per i genitori con figli minori. In quasi tutte le biblioteche abbiamo avuto un dimezzamento dell’organico. Al momento della riapertura, dopo la chiusura totale, il fattore del personale ‘dimezzato’ ha pesato molto: se appartieni a determinate categorie non è pensabile che tu possa tornare a lavoro in presenza, stante la situazione sanitaria in atto.
Quindi è possibile, secondo te, attivare e far funzionare lo smart working per diverse categorie di dipendenti pubblici?
Assolutamente sì, soprattutto se si è preparati a farlo. Noi lo abbiamo messo in atto con dispositivi personali, la rete internet di casa, mettendo a disposizione tutto quel che avevamo: comprendevamo bene che la nostra salute e la sicurezza di tutti valeva più dell’usura di uno smartphone o del consumo della propria rete casalinga. Per l’esperienza che abbiamo vissuto, noi abbiamo lavorato davvero a tambur battente, anche se spesso non avevamo orari ci sentivamo fortemente motivati. Non era solo la produzione ad avvantaggiarsene ma il bene prioritario della collettività.
Questo ci riporta ad un dibattito che è quello del “diritto alla disconnessione” per i dipendenti in smart.
Per i dipendenti, in realtà, lo smart working possedeva la stessa scansione di una giornata lavorativa; i responsabili di biblioteche, avendo anche altre mansioni, hanno lavorato di più un po’ per la necessità di coordinamento in un terreno fino a quel momento inesplorato e un po’ per rassicurare, coadiuvare, motivare il gruppo di lavoro che a distanza rischiava di scollarsi. Certo è che, personalmente, mi sono sempre spesa più ore del dovuto anche quando si lavorava in presenza. “Collina della Pace” è una realtà che richiede qualche sacrificio: dipende dal territorio e dal contesto sociale in cui la struttura è inserita, quali rapporti si hanno con gli istituti scolastici presenti nelle varie zone del territorio e via dicendo. I gruppi di lavoro, ad ogni modo, hanno lavorato da casa secondo il proprio orario assegnato e secondo le indicazioni di massima fornite loro. C’è di buono che ho scoperto livelli di prestazione, quantitative e qualitative in colleghi che, nella routine quotidiana, rimanevano un po’ nell’ombra o si dedicavano prevalentemente al servizio di front-office e non avevano sperimentato altri fronti.
Nessuno ha la palla di vetro, tuttavia, stanti così le cose, con i contagi che hanno toccato e superato i ventimila, come potrà proseguire la situazione per le Biblioteche di Roma?
La richiesta maggiore degli utenti, al momento, è quella delle sale studio. È un fronte che al momento non si può riaprire. La sala studio della nostra Biblioteca poteva contenere venti persone, tenendoci larghi. Se si deve provare ad attuare un distanziamento sociale nella sala studio di Collina della pace significa che il massimo dei tavoli che posso inserire nell’aula sono cinque. E sono esattamente gli stessi che siamo riusciti a piazzare nei tre giorni precedenti il lockdown, quando si ventilava una chiusura ma si parlava ancora di precauzioni, distanza sociale e misure di sicurezza.
Cinque tavoli potrebbero essere destinati a soli cinque ragazzi con sanificazione costante dell’ambiente e degli strumenti. Il gioco non vale la candela: si dovrebbero avere persone dedicate per la sanificazione di ogni superficie, così come per i bagni, com’è stato fatto per “Avvistamenti”. Per la rassegna cinematografica, infatti, c’era una persona che sanificava ad ogni ingresso nei servizi.
Sussiste un problema oggettivo che si può ben comprendere. Le maggiori pressioni le stiamo avendo, infatti, da coloro che necessitano sale studio piuttosto che dalle altre tipologie di utenti, che pure si stanno servendo dei servizi ordinari di prestito, ad esempio.
Se si dovesse riaprire, nonostante l’ultimo Dpcm del 25 ottobre sia stato chiaro riguardo il mondo del lavoro culturale?
Stiamo provando a ragionare sull’ipotetica riapertura dividendo il personale in squadre divise per giorni, così da alternarsi in presenza. Qualora dovesse esserci un positivo tra noi, il rischio di contagio riguarderà solo uno dei due gruppi anziché tutti i dipendenti in organico. Il punto è che, nonostante tutto questo, il rischio contagio è altissimo: tanto per gli utenti, quanto per i dipendenti. Ridimensionando i numeri dei gruppi di lavoro, si potrebbe aprire anche quattro giorni a settimana. Certo è che tutte le attività in presenza, anche se con numeri ridotti, dovranno essere ripensate: anche venti persone fisiche iniziano ad essere troppe. Tutto dipende da quel che succede fuori dalla biblioteca. Di 39 biblioteche, solo 3 rimangono chiuse: quelle che stanno continuando ad essere chiuse non hanno né l’organico a disposizione, per i motivi di cui parlavamo prima, sia per come sono fatte strutturalmente (ad esempio non ci sono finestre per arieggiare le stanze, il frontoffice è posizionato in maniera da non garantire distanze rispetto agli ingressi e non garantiscono la distanza sociale).
La biblioteca di largo Monreale è tra quelle ancora chiuse.
Il plesso di Borghesiana possiede una serie di criticità sia per quel che riguarda l’organico ridotto ai minimi termini, sia per quel che concerne la struttura, dunque l’edificio in sé. Già prima del lockdown la direzione di Biblioteche di Roma e il Municipio VI si erano seduti attorno ad un tavolo per decidere come migliorare la struttura: in questa fase intermedia che si stanno pianificando lavori di adeguamento e ristrutturazione di cui la sede avrebbe molto bisogno. Da tempo, infatti, necessità importanti interventi di manutenzione a causa di infiltrazioni e umidità, pertanto i colloqui tra “Biblioteche di Roma” e l’assessore preposto del Municipio sono andati avanti al fine di concordare tempi dei lavori e della riapertura che potrebbe essere programmata fra dicembre e gennaio.
Come si potrebbe ovviare per la questione relativa al personale?
Abbiamo chiesto all’assessore alla cultura Luca Bergamo e al Direttore Dipartimento organizzazione e Risorse Umane Angelo Ottavianelli, e lo stesso hanno fatto i sindacati, il motivo per cui i 17 bibliotecari, con una qualifica specifica non interpretabile, non sono stati assegnati all’Istituzione Biblioteche ma dirottati su altri uffici del Comune a seguito del ‘concorsone’ di Roma Capitale a cui stanno attingendo anche i Ministeri per non mettere in campo altri concorsi in un momento così complicato e trovandosi a loro volta sottorganico. Abbiamo davvero molto bisogno di funzionari e istruttori: tra pensionamenti, lavoratrici e lavoratori fragili che non possono tornare sul posto di lavoro in presenza perché rischierebbero la pelle se contraessero il virus ecc. Non ha senso affidare altre mansioni a personale specializzato di biblioteca: quei 17, oltre ai 10 che sono già stati inseriti, sono vitali per il nostro circuito. Tanto per continuare con l’esempio di Borghesiana: una volta avviati i lavori, nel frattempo, si può integrare il personale esistente con i neoassunti. La situazione inizierebbe, comprensibilmente, già a cambiare. Altrimenti, una volta fatti i lavori, non avremmo personale per garantire le aperture.
Capisco l’utenza che, in questa fase delicata, si vede privata di servizi per lo studio, la lettura e la cultura in generale però, non possiamo leggere la situazione attuale solo da questo punto di vista. Se si deve operare una scelta sui servizi essenziali da tenere aperti, ritengo comprensibile che le Biblioteche di Roma, il relativo personale e l’utenza, non vadano ad aggiungersi al personale scolastico, ai ragazzi, ai medici, al personale di pronto soccorso che è tornato a pieno regime e che incide sulla mobilità in maniera importante. Quindi la scelta delle squadre, cui si sta pensando, che dimezza ogni gruppo di lavoro nelle 36 biblioteche aperte riduce, oltre alle considerazioni fatte in precedenza, il flusso delle persone che si spostano sui mezzi pubblici dove il contingentamento e la distanza sociale in taluni orari è utopia.
Marco Piccinelli
Be First to Comment