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La periferia e il centro

C’è un punto rilevante nel rapporto centro-periferia che assume una rilevanza strategica, sotto qualsiasi punto di vista o lente di ingrandimento. La questione è il rapporto stesso e i termini utilizzati: periferia, centro. Non parleremo tanto qui del fenomeno che investe sempre di più le città europee (dunque anche Roma) di trasformazione di un quartiere popolare in zona abitativa ambita e quasi “pregiata” con conseguente cambiamento della composizione sociale nonché del costo della vita di quell’area (prezzi delle abitazioni e quant’altro).  Non parleremo di gentrificazione.

Parliamo di cose più spicciole: che cos’è la periferia. Tempo fa, alla nostra casella di posta elettronica (redazione@larinascitadelletorri.it) è arrivato un messaggio in cui venivamo lodati per l’idea del giornale telematico a cui, parallelamente, seguiva una critica per aver utilizzato il termine periferia. Il lettore diceva, in buona sostanza, che lui non si sentiva abitante della periferia in quanto il suo quartiere, irrorato ora dalla Metro C di Roma, poteva dirsi appartenente alla città a tutti gli effetti. E che quel termine fosse in sé dispregiativo.

Il punto è che certe volte non basta un treno metropolitano a determinare quello che è periferia e quello che non lo è, peraltro, di un treno con una frequenza da linea regionale o giù di lì.
Che proprio non ha il sapore della metropolitana come c’è negli altri quadranti e sulle altre consolari (Tiburtina e Tuscolana). La questione è quanto il decisore politico vuole occuparsi delle zone periferiche per far sì che esse non vengano più considerate tali. Se dobbiamo essere franchi, dal 1980 in poi, il bilancio è piuttosto disarmante. E lo si vede anche dalle piccole cose. Prendiamo la cura e la manutenzione stradale.
Per molti residenti un giudizio positivo o negativo dell’amministrazione comunale riguardo la periferia si può dare solo in relazione alla pavimentazione delle strade, a prescindere dal colore politico che stia rappresentando. Un giudizio riduttivo e massimalista al contempo, ma tant’è: la maggior
Ebbene, le continue esternalizzazioni delle municipalizzate, gli appalti esterni e – spesso – l’astio e la competizione che c’è tra azienda appaltante ed esecutrice del lavoro, generano più danni che altro. Il giorno dopo la pavimentazione, ecco che arriva l’altra azienda per eseguire i lavori su quella stessa strada. Trivella, rompi, inserisci cavi, controlla tombini, riasfalta quel pezzettino che corre lungo tutto la via. Ecco qui che la rottura è servita di nuovo.

Si tratta quasi di un discorso da bar, ma in fondo si tratta di una disarmante constatazione.
Là dove la politica non è in grado di dare indirizzo e controllo arrivano i tecnici a determinare quel che si può e come lo si deve fare. Di fatto la proverbiale coperta è sempre più corta e la politica, davvero, conta e conterà sempre di meno rispetto a tre decenni fa.
Invertire la rotta è difficile ma non impossibile, battersi per mantenere il binario parallelo dell’agire locale-pensare globale è la sfida vitale dei nostri tempi.
Soprattutto in periferia. Per ridare un senso di comunità a quel che non lo è più da tempo.

Marco Piccinelli

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