Ho conosciuto Giudo Manca nell’anno 1965. Frequentavo la sezione del Partito comunista italiano perché la domenica ci si ballava. Lui, anche se aveva quattro anni meno di me, era un dirigente della FGCI locale (la federazione giovanile del Pci), non credo che sapesse ballare, ma era letteralmente trasportato dalla politica. Era figlio di Pietro un infaticabile compagno che era stato partigiano: provenivano dalla generosa Sardegna che ha saputo sfornare compagni di grosso calibro e Guido nel suo piccolo ha saputo rendere onore a quella terra. Guido frequentava il liceo artistico e quella scuola gli ha permesso di esprimere concetti anche complessi con disegni caratteristici. Ricordo che spesso disegnava due braccia che spezzavano una catena, o gruppi di persone che dimostravano o si opponevano al potere, e altri bellissimi disegni di questo genere. In molte occasioni delle feste de “L’Unità” gli ingressi erano costituiti da torri fatte di tubi innocenti sui quali venivano fissati grandi tabelloni con i disegni di Guido, spesso ci ritrovavamo a parlare di politica ma, sono sincero, capivo ben poco dei suoi discorsi un po’ contorti, tuttavia il suo impegno, la sua abnegazione, hanno fatto in modo che mi avvicinassi a quel partito.
Allora, come tutti i ragazzi, ci piaceva fantasticare, sognare un mondo diverso: il nostro faro era l’Unione sovietica, che avremmo voluto visitare. Ricordo che in quegli anni a Finocchio c’era un rivenditore di macchine sovietiche che esponeva foto dimostrative degli ostacoli che potevano superare, gradini alti un metro e venti, o capaci di mettersi in moto stando completamente immerse nell’acqua e altre stranezze di questo tipo. A noi abitanti di borgata che sognavamo la vasta e sterminata Russia socialista, queste cose scatenavano le nostre fantasie, non eravamo patentati ma ci sarebbe piaciuto possedere un furgone di quelli, metterci dentro dei sacchi a pelo e poi partire per la grande Russia, erano sogni e sono rimasti tali. Guido ha anche ricoperto ruoli istituzionali: è stato Consigliere municipale e in quella veste voglio ricordare soltanto due delle innumerevoli battaglie che ha portato avanti: la prima, la trasformazione del trenino Roma-Pantano in una sorta di metropolitana di superficie che col tempo è diventata quel che oggi chiamiamo “la metro C”; la seconda, l’abbattimento “dell’Ecomostro”, un fabbricato abusivo alto cinque piani che insisteva sulla Casilina, che poi con il tempo quella zona è diventata “Collina della Pace” con il parco dedicato a Peppino Impastato.
Ecco, Guido Manca nel nostro territorio ha significato molto. Non sempre era facile capirlo ma lui a volte anche se non veniva seguito, da buon sardo, abbassava la testa e andava avanti. Io negli ultimi tempi lo sentivo ogni tanto, credo che quelli che come me l’hanno conosciuto ne sentiranno la mancanza.
Ciao Guido.
Giulio Marchetti
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