Ripubblichiamo l’articolo di Marco Piccinelli all’indomani della morte di Lorenzo Parelli. Nei giorni scorsi un altro ragazzo è morto durante le ore di PCTO (acronimo che sostituisce il vecchio nome di “Alternanza scuola-lavoro”). Sembra utile tornare sul tema dato che sulla stampa nazionale ci si è limitati a stabilire se il ragazzo avesse dovuto trovarsi lì in quella fabbrica o meno, senza andare a minare la radice del PCTO. Ossia: è davvero così giusto far interrompere il percorso scolastico ad una/o alunna/o al fine di impiegarla/o per un certo numero di ore in un’azienda che non la/lo retribuirà né darà alcuna qualifica reale? Dibattere su questo avrebbe significato destrutturare la retorica di cui si ammanta la politica liberale degli ultimi vent’anni riguardo le “competenze dell’imparare facendo qualcosa”. E non ci sembra giusto. (direttore)
La scuola che vogliono
I sostenitori delle leggi Moratti, Gelmini, Renzi che hanno ucciso la scuola negli ultimi decenni sostengono che in realtà chiamare lo stage di Lorenzo “Alternanza scuola-lavoro” sia profondamente sbagliato perché non si chiama più così e, in effetti, ora è il PCTO: “Progetto per le competenze trasversali e l’orientamento”. Ovvero: cambiare un nome ad un concetto per farlo rimanere uguale al precedente. I governi degli ultimi trent’anni ci hanno abituato anche a questo. E poi, sempre stando ad ascoltare i sostenitori dell’alternanza (e i cui rappresentanti politici coprono tutto l’arco parlamentare) la scuola moderna deve sviluppare modernità, orientamento in uscita, non bisogna conoscere ma imparare a “saper fare” qualcosa e viene a crearsi il mostro a tre teste delle “competenze”. Perché conoscere qualcosa è un concetto decisamente superato, vecchio, rappresenta un’anticaglia: bisogna dimostrare di saper fare qualcosa. Come se Democrito avesse davvero mostrato a tutti che lui era riuscito a spaccare un atomo con un martello. La scuola moderna deve sviluppare in ognuno la propria individuale imprenditorialità: a che serve conoscere le declinazioni latine quando poi non sai avviare un’azienda?! È utilissimo far nascere una società: è molto formativo sapere come si sfruttano le persone, risparmiare sui materiali, trarre soldi dallo sfruttamento su altri esseri umani, sull’ambiente, sulle cose quali-che-siano. Se il mondo è spietato, allora la scuola deve adeguarsi e mandare i ragazzi a capire quel che sarà della loro vita – oltre i plessi fatiscenti che abitano per cinque anni – facendogli fare periodi di lavoro non retribuito lontano da scuola che valgono come ore di PCTO in cui viene insegnato loro ad obbedire, in teoria “un mestiere”, a non avere un salario per quel che stanno facendo, a non aver un sindacato, a dire sempre “sì” ad ogni condizione che viene loro proposta dal soggetto erogatore del progetto/stage (altrimenti noto come lavoro gratis).
Perché no.
Perché gli avvenimenti della nostra storia recente, dopotutto, non li conosciamo affatto oppure vogliamo fare finta che non esistano: ci giudicherebbero spietatamente, altrimenti. Il grande movimento di democratizzazione della scuola che ha voluto l’istruzione e l’inclusione per tutte le classi sociali (cioè la possibilità di andare a studiare senza sapere a cosa servirà “dopo” quel particolare argomento di quella disciplina) ha dato una spinta enorme all’uguaglianza e alla parità tra tutti per evitare che si andasse a lavorare anziché studiare da minorenni. Imparando a conoscere anzitempo sofferenza, privazione della propria età di vita, sfruttamento, così come è successo ai nostri nonni o ai nostri padri. Tutti, per farla breve, avrebbero dovuto studiare e diventare “studenti” nel verso senso della parola, senza l’obbligo o il ricatto di dover lavorare perché le misere condizioni di partenza della propria famiglia non avrebbero consentito l’accesso agli studi ai figli.
A partire da un certo momento storico, nell’era del post-ideologismo, s’è iniziato a mettere politicamente in discussione alcune questioni relative all’insegnamento e alla scuola in generale: in fondo il latino non serve: era utile quando a scuola c’erano solo padroni ed élite, ora non è più utile; il libro di testo allo stesso modo è superato: tanto c’è internet, e via dicendo. S’è arrivati a dire che, in fondo, i ragazzi nati negli anni ’80 e ’90 sono stati dei privilegiati: hanno passato tutta la loro adolescenza (nonché post) a studiare senza fare un giorno di lavoro e non posseggono risorse spendibili nel “mercato del lavoro”. Impostando il discorso in questo modo non se ne esce facilmente, così viene estratta dal cilindro l’idea che per essere studente non serve studiare (ma infatti!) perché bisogna anche saper fare: dimostrare di fare qualcosa realmente e non solo riuscire ad applicarsi su teorie e manuali. In altre parole: bisogna che i ragazzi tornino a lavorare, ecco “l’alternanza”: perché se tu fai qualcosa adesso è bene che ti metta da subito in testa di utilizzare quelle cose che stai imparando per il “dopo”. Altrimenti adesso perdi solo tempo, se poi non sai cosa fare.
E il mondo è pieno di pescecani e non trovi lavoro.
E invece finisci che sul lavoro ci muori perché stavi lavorando gratis in un progetto che avrebbe dovuto insegnarti a lavorare, anziché capire com’è che siamo arrivati fin qui, a vivere questi giorni disgraziati.
E, magari, se arrivi a capire com’è che siamo arrivati fin qui e a studiare come siamo arrivati a questo punto, inizi a ribellarti al concetto di “alternanza” e inizi a schifare chi è che ha ideato un sistema così perverso e maledettamente assurdo.
E, magari, inizi ad organizzarti per cambiarlo, il mondo. Non sia mai.
Marco Piccinelli
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