Il massacro di Domenikon: gli italiani non sono “brava gente”.
16 febbraio 1943: oltre 140 civili vengono trucidati. Si consuma in Grecia, nel villaggio di Domenikon, uno dei peggiori eccidi compiuti dalle forze italiane di occupazione.
Nei pressi di questo piccolo villaggio della Tessaglia, il 16 febbraio, un’autocolonna italiana cadde accidentalmente in un’imboscata e nove soldati delle Camicie nere morirono sotto il fuoco dei partigiani greci.
Immediatamente il generale Cesare Benelli, comandante della Divisione ‘Pinerolo’, ordinò una feroce rappresaglia che colpì l’intero villaggio: centinaia di soldati arrivarono con quaranta mezzi divisi in tre colonne, circondarono e rastrellarono il paese allo scopo di scovare i colpevoli dell’attentato al convoglio italiano. L’operazione si concluse nella notte con la fucilazione di circa 140 uomini e ragazzi tra i 14 e gli 80 anni.
Fu una vera e propria mattanza, il paese venne completamente bruciato e raso al suolo; chiunque si trovasse per strada venne picchiato, fucilato, sgozzato. Pochi giorni dopo la Croce Rossa internazionale fu avvertita e allertata da un poliziotto greco, ma gli eccidi non si placarono. Al contrario, si verificarono altri episodi simili a Fatar, Driscoli, Farsala, Titorea.
Centinaia di persone passate per le armi. Una vera e propria “strategia del massacro”, messa in atto dal comando italiano, che allarmò perfino i nazisti che iniziarono a chiedere “condotte meno feroci”.
Negli anni, le diverse indagini e i procedimenti relativi alla questione si sono tutti conclusi con l’archiviazione per scarsità probatoria. Recentemente, però, il procuratore Generale Militare presso la Corte Militare d’Appello di Roma, Marco de Paolis ha scritto personalmente un messaggio all’Associazione delle vittime, scusandosi a nome dell’Italia intera per la mancata tempestività di una risposta positiva giudiziaria.
Pubblicato dall’Associazione culturale del festival “ÈStoria” di Gorizia.
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