Le motivazioni possono variare ma, a spanne, gravitano tutte più o meno attorno a quanto scritto sopra. C’è da chiarirsi su una questione, certamente ridondante alla ripetizione, ma che venne ribadita nel 2014 in un’intervista da Fulco Lanchester, ordinario di Diritto Costituzionale preso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma:
«I sistemi elettorali aiutano la stabilizzazione. Essi non possono, però, produrre stabilizzazioni assolute: chi ci racconta che con un sistema elettorale di un certo tipo si perviene immediatamente alla stabilità, è paragonabile al venditore di lozioni per la crescita dei capelli. E le parla un calvo».
Allo stesso modo anche quando si insediò il Governo Renzi nel 2013 la situazione venne descritta magistralmente da Massimo Bordin:
«Ad oggi [marzo 2013] questa è la situazione attuale: la legge che c’era, che faceva schifo a tutti, non c’è più perché una sentenza della Corte Costituzionale afferma come, in alcune parti, quella legge non è Costituzionale. Quindi, se adesso dovessimo andare a votare, voteremmo con una cosa che non si sa bene quale sia, perché è un qualcosa di ritagliato sulla sentenza della Corte. Allora “dobbiamo fare assolutamente la nuova legge elettorale” , e questo porta a dire che “la faremo entro un mese” anzi addirittura, mi pare, che oggi si sia detto si sarebbe realizzata entro la fine della settimana. Quindi siamo decisamente a posto! Se, malauguratamente, Renzi non dovesse riuscirci, il governo va minoranza su una questione non propriamente marginale; quindi si crea un clima da elezioni anticipate e, quindi, per fare in fretta una legge elettorale, che ci serve assolutamente, noi andiamo a votare senza la legge elettorale che ci serviva tanto».
Uninominale, la battaglia del mondo liberale-radical
Una delle più longeve rivendicazioni dell’area che comprende le organizzazioni liberali e radicali, nonché della destra più conservatrice, è proprio quella dell’attuazione di una legge elettorale pienamente maggioritaria e con collegi uninominali (piccoli o grandi che siano).
Stiamo parlando di organizzazioni che compongono, ad oggi, la totalità del Parlamento italiano, nonché un buon 70% delle formazioni politiche che partecipano regolarmente alle elezioni di ogni ordine e grado.
«[…]che nei sondaggi d’opinione è il più popolare [2014] e che i Radicali propongono da sempre: maggioritario secco ad un turno con collegi uninominali, sistema federalista e presidenzialista».
‘First past the post’
Al momento della discussione in Parlamento e della successiva strutturazione della legge Rosato (detta Rosatellum) tutt’ora in vigore, si invocava a gran voce il modello anglosassone per l’elezione di Camera e Senato. Il sistema anglosassone, denominato first past the post, rappresenta un sistema uninominale maggioritario secco, nonché una evidente strozzatura della rappresentanza, almeno a parere di chi scrive.
Breve excursus anglosassone
Il Regno Unito possiede un parlamento bicamerale (Camera dei Lord e Camera dei Comuni) e la ‘posta in palio’ è rappresentata dai 650 seggi nella Camera dei Comuni: dal momento che vige un sistema elettorale uninominale, ogni circoscrizione, delle 650 in oggetto, è diviso in collegi e ognuno elegge il proprio deputato (uno) da mandare alla Camera dei Comuni.
Tale meccanismo impone che il partito vincente debba ottenere 326 seggi per raggiungere la maggioranza in Parlamento e le circoscrizioni elettorali sono così divise: 523 in Inghilterra, 59 in Scozia, 40 in Galles, 18 in Irlanda del Nord; non esistono soglie di sbarramento, in ogni collegio i partiti presentano un solo candidato e viene eletto solo colui/colei che ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti.
Uninominale all’italiana
I sostenitori della legge maggioritaria e del sistema uninominale utilizzano tale argomentazione a sostegno della propria tesi: il rapporto elettore-rappresentante tende ad assottigliarsi. Ovverosia: il Parlamentare eletto sarà espressione di quella territorialità perché appartenente proprio a quella circoscrizione in cui fa attività politica, ci è nato, svolge (o ha svolto) la sua attività professionale o altri fattori.
Tutto dovrebbe andar come da manuale, o no? Proprio no.
Tutti candidati
- Giorgia Meloni risulta eletta in cinque collegi diversi (Sicilia 1, Sicilia 2, Lombardia 1, Puglia e Lazio 1);
- Giuseppe Conte in Lombardia 1 in entrambi i plurinominali P01 e P02, Sicilia 1, Puglia, Campania 1;
- Enrico Letta in Lombardia 1 e Veneto 2;
- Antonio Tajani in Campania 1 in entrambi i plurinominali e in Campania 2.
Al Senato della Repubblica la questione non cambia:
- Silvio Berlusconi è eletto nel plurinominale di Campania (P01), del Lazio (P02), del Piemonte (P02), della Lombardia (P02);
- Carlo Calenda in Veneto (P02), Sicilia (P01), Lazio (P01);
- Matteo Renzi in Lombardia (P02), Campania (P01), Toscana (P01).
- il presidente della Lazio Lotito è stato eletto in Molise, sebbene egli sia laziale non solo di fede calcistica ma di appartenenza territoriale;
- Cesa, segretario dell’UDC anch’egli eletto alla Camera nel collegio uninominale del Molise, sebbene sia nato ad Arcinazzo Romano;
- Angelo Bonelli (Alleanza Verdi-Sinistra), nato a Roma vissuto tra Ostia e Casal Bernocchi (prima del recentissimo matrimonio che lo ha visto trasferirsi in Trentino), è stato eletto a Imola;
- Marta Fascina, la compagna (o non-sposa a seguito del non-matrimonio) di Berlusconi, eletta in Sicilia e nel 2018 in Campania, sebbene sia nata a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria);
- Riccardo Magi, Radicali italiani/+Europa, romano di nascita e in cui ha svolto la maggior parte della sua attività politica, è stato eletto a Torino;
- Sumahoro (Alleanza Verdi-Sinistra) è stato nel plurinominale della Lombardia a seguito dello scatto del seggio, sebbene fosse stato candidato all’uninominale di Modena, quando la sua attività sindacale è da sempre rivolta al bracciantato del Mezzogiorno d’Italia, con particolare riguardo alla campagna pugliese.
Che l’unico interesse della borghesia italiana è la sua palingenesi, costi quel che costi, ma senza catarsi quanto, piuttosto, con evidente manifestazione della propria protervia.
Che alla prossima tornata elettorale ci sarà un meno-peggio nella lotta per l’elezione diretta del Presidente del consiglio dei ministri.
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