Dal 23 dicembre [2022] al 7 gennaio [2023] il nostro fotografo Roberto Flenghi esporrà i suoi scatti dedicati alla periferia nella mostra “Scatti periferici”, ospitata dalla libreria “La stanza della musica” in Via dei greci.
La suggestiva libreria musicale, antistante al Conservatorio, esporrà le fotografie del fotografo torremaurense e fotoreporter della Rinascita delle Torri.
Com’è nata l’idea di realizzare una mostra fotografica e perché proprio alla libreria “La stanza della musica”?
«Era parecchio tempo che desideravo organizzare una mostra fotografica utilizzando gli scatti che realizzavo in vari quartieri di Roma. L’occasione mi è stata offerta dai ragazzi di Musicopaideia, che ho conosciuto fra settembre e ottobre in occasione dei festeggiamenti per il Centenario di Torre Maura. I musicopaideiani (Sara Ferrandino e Federico De Antoni che sono dei validissimi musicisti) in quell’occasione gestivano, come consulenti, l’intera organizzazione degli eventi della festa. Durante la presentazione del programma presso il CdQ di Torre Maura mi sono proposto di realizzare i reportage delle varie manifestazioni e loro accettarono di buon grado la mia offerta. In seguito ho passato le mie foto affinché fossero pubblicate sui vari siti che seguivano gli eventi. La festa è sta un vero successo e le mie foto sono piaciute. Alla fine Musicopaideia per ringraziarmi del mio lavoro mi ha proposto di farne una mostra fotografica ed io ho accettato ben volentieri. “La Stanza della Musica” che è una libreria specializzata in libri e spartiti musicali, a due passi dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ha una sala interna dove Sara e Federico organizzano concerti ed eventi»
Quali sono le intenzioni del nome (e della mostra) “Scatti periferici”? Ad una prima lettura una duplice interpretazione della mostra: da una parte l’interesse nei confronti della periferia dall’altra mostrarne i volti nascosti. È corretto?
«Quando mi hanno chiesto un nome per la mostra lì per lì sono rimasto interdetto e ci ho rimuginato su per qualche giorno. Poi mi è stato chiaro che il titolo non poteva essere che quello. Sono un fotografo flâneur, mi piace passeggiare per i quartieri della città alla ricerca di luoghi remoti da catturare con i miei scatti. In particolare sono attratto dai luoghi confine fra un quartiere e l’altro, qualche anno fa ho realizzato delle foto che ho raggruppto sotto il nome di “varchi”. Sono luoghi magici, di passaggio, varchi appunto. Specialmente in periferia si trovano affiancati l’uno all’altro quartieri nuovissimi e quartieri più antichi e là dove sono i varchi puoi sperimentare sulla pelle il passaggio da un periodo all’altro provando una sorta di vertigine temporale. Ne sono affascinato. Inoltre se cerchi bene anche nei quartieri più recenti trovi luoghi periferici dove il tempo si è come fermato, ecco io li fotografo. Circa tre anni fa ho realizzato un reportage che ho intitolato “angoli remoti nel tempo” fotografando luoghi che erano rimasti uguali a 50/60 anni fa. Chi ha visto quelle foto mi ha chiesto: “Ma dove sta questo posto, io non lo ho mai visto!”.
Ma sono “scatti periferici” anche rispetto alle immagini che noi abbiamo accumulato nella nostra memoria. Viviamo nella società dell’immagine e nelle fotografie ci aspettiamo di vedere ciò che abbiamo sempre visto (pensa alle foto anche belle di luoghi famosi, che so il Colosseo, S. Pietro o Piazza S. Marco) l’immagine ci rassicura, sposta l’angolazione dell’inquadratura e avrai uno scatto “periferico”, “straniante”».
Quali sono i soggetti che sono più rappresentati nei tuoi scatti?
«Sono uno street reporter, i miei miti fotografici sono Cartier-Bresson e tutti i fotografi degli anni ’30 e per venire ai tempi nostri Tano D’Amico, amo fotografare manifestazioni culturali e politiche, spettacoli e concerti, ma soprattutto i volti delle persone specie se comuni».
Prima insegnante e poi fotografo: cosa ti ha lasciato il lavoro nell’educazione quando hai deciso di iniziare a scattare?
«In realtà ben poco. O meglio le facce e le espressioni delle ragazze e dei ragazzi e, avendo insegnato per più di 20 anni in periferia, l’attenzione alla loro fragilità inascoltata da molti colleghi. Devo però dire che molto mi ha dato uno degli aspetti, se vogliamo secondari, del mio lavoro. Per molti anni ho svolto il compito di “funzione strumentale” per le nuove tecnologie e da ultimo l’attività di “animatore digitale” che mi giovano per le attività di postproduzione con l’utilizzo di vari software specifici per lo sviluppo e il ritocco dei miei scatti».
Marco Piccinelli
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