Da che doveva civilizzare i terronissimi e ladroni romani, la Lega (che non è la Lega Nord) di Matteo Salvini, ha finito per infrangersi col muro di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. Come per il principio dei vasi comunicanti, gli elettori del centrodestra migrano: una volta il candidato forte è in Forza Italia, una volta è nella Lega, l’altra è in Fratelli d’Italia. L’importante è stare in coalizione insieme e presentarsi uniti all’esterno, anche se poi ci si pesta i piedi in casa propria.
Le ultime notizie che arrivano all’indomani delle elezioni regionali a cui ha votato il minor numero di elettori nella storia della Repubblica, raccontano di dissidi e contestazioni da parte della Lega nei confronti di Fratelli d’Italia al fine di ottenere qualche posto in più a Via della Pisana. E chissà che non si vada anche per vie legali. Sovranismo tribunalista.
Stando a quel che riporta il quotidiano digitale ‘Roma Today’,
«In particolare, racconta una fonte a ‘RomaToday’, il Carroccio chiede una diversa interpretazione sull’assegnazione dei dieci seggi del cosiddetto “premio di maggioranza”. La Lega vorrebbe che l’attribuzione fosse slegata dalle circoscrizioni elettorali [una per ogni provincia ndr.], “già rappresentate e tutelate nel metodo di attribuzione dei ⅘ dei seggi”, ma venisse effettuata in base ai voti ottenuti da ogni singola lista. In questo modo Fratelli d’Italia perderebbe tre consiglieri: uno su Viterbo, uno su Rieti e uno su Frosinone. Ne entrerebbero invece tre su Roma: uno ciascuno per Lega, Forza Italia e Lista Rocca».
Tra gli eletti di Fratelli d’Italia si incontrano nomi che in VI Municipio erano diventati esperti conoscitori (per non dir di casa) quando vestivano la casacca della Lega, supportati da giovani eletti al consiglio municipale che tutto hanno costruito e passato pur di arrivare a sedere in Via Cambellotti. Persino un passaggio alle primarie della coalizione di centro liberale capitanata dal Partito democratico o la permanenza in gruppi che “ah, signora mia, guardi, non mi faccia dire!”.
Una volta lì, hanno deciso di puntare su quello che in “Febbre da cavallo” Mandrake, Pomata e Felice erano soliti bollare come “er cavallo bono”. Solo che loro tre perdevano sempre e, anzi, Manzotin (che era il soprannome di Rinaldi Otello, “tre chili de trippa e due de budello”) guadagna sempre cospicue somme alle corse.
Eppure la storia insegna ma nessuno ascolta perché la classe è vuota: ancora una volta, “Antonello da Messina” ha perso nella sfida contro “Soldatino, King e D’Artagnan” tanto nella pellicola di Steno quanto nella vita reale, in cui spesso realtà e tragi-commedia si sovrappongono creando un metaverso sorprendentemente lisergico.
E allora altroché storia che si ripete come farsa, piuttosto tristissima e mesta realtà.
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