La riforma degli istituti tecnici e professionali con l’istituzione del percorso 4+2 in discussione in questi giorni alla Camera rappresenta un accanimento del governo contro la scuola pubblica e i suoi studenti. La sperimentazione dei percorsi di studio quadriennali è già stata bocciata nella stragrande maggioranza dei collegi dei docenti in cui era stata prooposta alla fine del 2023. Solo 171 istituti in tutta Italia infatti avevano approvato l’avvio alla sperimentazione, nonostante fosse stata caldeggiata con forza dagli uffici scolastici e da molti dirigenti. Non è un caso che con il ddl semplificazioni il governo voglia mettere mano alla disciplina degli organi collegiali, con l’intento di silenziare l’opposizione dei docenti alla foga controriformatrice di questo governo.
I docenti e gli studenti hanno capito che questa riforma è nei fatti un taglio della scuola pubblica di un anno di corso e si inserisce in un disegno classista di selezione in base alle condizioni sociali di provenienza, differenziando ulteriormente questi percorsi da quelli liceali che dovrebbero invece preparare all’università.
Dopo l’introduzione massiccia dell’alternanza scuola lavoro con la buona scuola, questa ulteriore riforma prevede un ulteriore asservimento della scuola pubblica alle esigenze delle imprese, che arriverebbero a inserire dei loro docenti a contratto nelle scuole, pagati con i soldi pubblici ma che risponderebbero ad interessi privati, in barba anche ai tanti e alle tante precari/e che per entrare ad insegnare nella scuola devono affrontare un sempre più lungo, costoso e difficile percorso di formazione postuniversitaria, anni di esperienza a tempo determinato e infine un concorso pubblico.
Gli istituti tecnici e professionali, squalificati ed equiparati ai percorsi regionali di istruzione e formazione professionale, orienterebbero gli studenti a continuare il proprio percorso formativo negli istituti tecnici superiori, gestiti da fondazioni in cui intervengono sia soggetti pubblici (scuole, università, istituzioni locali) che privati, orientati alla formazione di manodopera più o meno qualificata. E’ tutto il contrario dell’idea di scuola pubblica che dovrebbe formare cittadini e cittadine, con un bagaglio di sapere che gli consenta di esercitare in modo critico la propria cittadinanza ed anche i rapporti di lavoro. Istituti che esistono da anni e che per fortuna non hanno incontrato il favore degli studenti, ma il cui rilancio è al centro degli obiettivi del PNRR e che si porranno in concorrenza (al ribasso) con il sistema universitario che già versa in forti difficoltà, anch’esso impoverito e squalificato grazie alla riforma del 3+2 introdotta alla fine degli anni Novanta.
L’idea classista del governo Meloni e di Valditara (ma che ha radici nella buona scuola renziana e prima ancora nell’autonomia di Berlinguer) si era già espressa con la riforma dell’orientamento, con l’introduzione di docenti tutor e orientatori che dovrebbero affiancare gli studenti (indipendentemente ed in competizione con i docenti del consiglio di classe, che hanno sempre fatto orientamento insegnando le proprie materie) anche per elaborare un curriculum attraverso il portfolio digitale di ciascuno studente. Questo documento conterrà i “capolavori” realizzati dagli studenti in ciascun anno scolastico e le loro esperienze anche extracurriculari, dai corsi di lingua o informatica svolti privatamente, alle esperienze di alternanza scuola lavoro, viaggi ecc. Così si svaluta il titolo di studio legale, uguale per tutte e tutti e lo si sostituisce con un curriculum individualizzato, in cui ciascuno potrà inserire le proprie esperienze, scolastiche ed extrascolastiche, realizzate anche in base alla capacità economica della famiglia di provenienza.
L’idea di aziendalizzazione della scuola pubblica è confermata dal lancio, lo scorso 24 giugno, della fondazione per la scuola italiana, costituita da una rete di grandi aziende (Unicredit, BPM, Autostrade per l’Italia, Leonardo, Enel) sotto gli auspici del ministro Valditara e del MIM. L’obiettivo è quello di quadruplicare gli investimenti privati nella scuola pubblica, sulla base di progetti pensati e organizzati dai soggetti privati, che guadagnerebbero così un ulteriore canale per entrare direttamente nei contenuti dell’offerta formativa delle scuole pubbliche. Anziché potenziare e rifinanziare con fondi pubblici e sotto il controllo pubblico la scuola italiana, si cerca di coinvolgere le multinanzionali nostrane, a prescindere dal fatto che i loro obiettivi potrebbero essere in contrasto con quelli di un’istruzione critica e con i valori costituzionali della pace, della democrazia economica, della tutela dell’ambiente naturale. Emblematico è il caso della Leonardo, azienda leader nella produzione di armamenti, che trae profitto dalle guerre e dall’insicurezza provocata dalla sempre più aggressiva competizione interimperialistica. La scuola soffre già abbondantemente delle incursioni delle forze armate, che periodicamente operano vere e proprie campagne di reclutamento tra i giovani, delle censure governative a chi invece, e per fortuna sono la maggioranza, si ostina a insegnare valori di pace e di critica alle dinamiche guerrafondaie della società contemporanea.
L’unico antidoto a queste idee reazionarie sulla scuola pubblica che si stanno concretizzando è la ripresa del protagonismo di chi nella scuola ci lavora e ci studia, attraverso gli organi collegiali, le asemblee e le mobilitazioni studentesche, le battaglie sindacali che necessariamente dovranno intensificarsi nel prossimo futuro, a partire da quella per il rinnovo del contratto scaduto a dicembre del 2021.
* di Francesco Locantore
Articolo pubblicato su anticapitalista.org
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